SGUARDO SULLA SCUOLA CHE VERRÀ
Preparazione dell'aula di una scuola media della provincia di Monza e Brianza - foto di Daniele Biella |
“Prendiamo in mano i nostri libri e le nostre penne: sono le armi più potenti”. È con queste parole di Malala Yousafzai, ragazza pakistana 23enne premio Nobel per la Pace nel 2014, che entriamo nel cuore della questione più grande che sta sollevando la pandemia legata al Covid-19: come fare ripartire le lezioni scolastiche di ogni grado? Bambini, ragazzi, genitori, nonni, zii, docenti, collaboratori scolastici, educatori e via dicendo: milioni di persone che guardano al prossimo 14 settembre 2020, giorno in cui il ministro ha fissato l’inizio delle lezioni, con un’attesa mai vista prima. Sguardi Resilienti ha parlato negli ultimi giorni con tante persone coinvolte, su più piani: decisori politici, dirigenti scolastici, professori, famiglie, alunni stessi e mondo del Terzo settore. Quello che ne è uscito l’abbiamo condensato in un affresco di ragionamenti e spunti a diversi livelli, intercambiabili tra loro. Eccoli.
Primo livello. La scuola dovrà essere in presenza. Tutti d’accordo, su questo: a meno di sventurati ulteriori picchi del virus, i banchi vuoti della foto di apertura torneranno a riempirsi di studenti. Distanziati fra loro, certo, di almeno un metro tra le rime buccali (la parte della bocca che si apre) e con le mascherine indossate se si è in movimento - a meno che le prossime disposizioni governative introducano altri cambiamenti - gli alunni di scuole primarie e secondarie potranno fare lezione nelle aule. Con tanta pazienza anche da parte dei docenti, che si troveranno a sanificare la cattedra a ogni cambio dell’ora, a tenere ancora più di prima una propria penna, a gestire la preoccupazione di un eventuale contagio (in particolare gli insegnanti con più anzianità). C’è da dire che i presidi “architetti” sono al lavoro da tempo, con metro alla mano. Li abbiamo visti all’opera: fanno buttare giù pareti dove gli spazi sono piccoli e ne tirano su dove invece bisogna creare nuove classi – palestre, mense, biblioteche scolastiche, aule di musica, tecnica, arte (che smettono di avere la loro funzione, su questo ci torneremo tra poco) – e trovano soluzioni più che creative per la disposizione dei banchi. Attenzione, però: la sensazione, parlando con i dirigenti, è che il vero problema non sia né l’organizzazione pur complessa degli spazi, né la capacità di mettere la scuola in sicurezza. Il vero problema sarà avere a disposizione il giusto organico: un numero congruo di insegnanti, ma anche di collaboratori scolastici. C’è molta preoccupazione perché, numeri attuali alla mano, non ce la si fa. Con il rischio concreto di dover agire sul tempo-scuola, ovvero diminuire la presenza dei ragazzi nelle aule. Ci saranno, questo sì, dei concorsi per nuove immissioni in ruolo, ma con tempi relativamente lunghi. Nel frattempo? La speranza è che i soldi governativi per la scuola vengano investiti per l’aumento immediato dell’organico, più che per infrastrutture che, magari – ed è una speranza detta a voce non troppo alta –, già qualche mese dopo l’inizio della scuola potrebbero non servire più, se la pandemia dovesse rientrare completamente.
Secondo livello. Come mantenere, tra una nuova regola e l’altra, un alto livello della didattica e della componente educativa della scuola? Quanto l’esperienza della didattica a distanza, che comunque sia ha “salvato” l’anno scolastico, va messa da parte e quanto va, almeno in parte, recuperata? Se questa seconda domanda troverà la sua risposta cammin facendo, è il primo dilemma quello che più ritorna nei pensieri di tutti, dagli insegnanti ai genitori, agli assistenti educativi. È un dilemma centrale, perché ne va dello sviluppo delle nuove generazioni. La nuova scuola non deve essere un ambiente che “sterilizza” il fuoco acceso di Yeats (“Educare non è riempire un secchio ma accendere un fuoco”, disse il poeta irlandese) e d’altra parte non deve lasciare che ragionamenti dettati solo dall’emozione del momento prevalgano su quelli programmatici: si deve tornare in presenza, questo è chiaro, ma la pandemia può davvero aprire le porte a un modello scolastico tanto inedito quanto generativo, fatto di sperimentazioni educative che in varie parti d’Italia si stanno già facendo con ottimi risultati e virtuosi patti territoriali con gli enti del territorio. Ci vuole quindi un programma razionale di lavoro a medio-lungo termine, perché la scuola e la società sopravviveranno al Covid-19. E la vita con le sue complessità andrà avanti, come accaduto con le pandemie del passato.
Terzo livello. Bambini e bambine, ragazze e ragazzi sono oggi in credito verso questa stessa nostra società. A tutti i livelli. Hanno sopportato il lockdown sorprendendoci per costanza e determinazione, e hanno imparato molto anche dalla pandemia, in termini di esperienza di vita, che è da considerare didattica a tutti gli effetti (si pensi alla gestione della paura, delle preoccupazioni, e in certi casi del dolore per la perdita di familiari). Ora questi stessi bambini e ragazzi devono potersi riappropriare dei loro spazi, della loro crescita sociale, culturale ed educativa. Non sarà facile, ma con le giuste strategie i momenti scolastici più informali dovranno rimanere: gli intervalli, magari a piccoli gruppi e con la mascherina per il tempo che servirà, andranno fatti fuori dalla classe (che nel frattempo dovrà avere le finestre spalancate, come da linee guida, per il ricambio dell’aria); la mensa, a scaglioni ovviamente e comunque in un luogo che non sia l’aula di lezione, anche in quelle scuole dove il refettorio sarà soppresso per trasformarlo in nuove aule e gli studenti riceveranno un lunch box; i bagni, che in nessuna scuola sono uno per classe e che quindi andranno regolati; gli ingressi, con tutta la sicurezza del caso (la temperatura verrà demandata alle famiglie, comunque) per evitare assembramenti, ricordandosi però che all’esterno dell’edificio - nei parchetti e nei loro luoghi di ritrovo - i ragazzi comunque si assembrano. Questo può generare preoccupazione, ma la tara va fatta anche sul dato che gli studenti, passando molte ore insieme in classe o nella scuola, possano essere considerati quasi come “congiunti”.
Quarto livello. La scuola non è un parcheggio, ma il tempo-scuola deve venire incontro alle famiglie: dirlo non è un’eresia. Perché, se i genitori devono sottrarre ore di lavoro per la cura dei figli, le conseguenze possono essere devastanti per tutti, visto anche il periodo di grave crisi economica che, secondo le stime, entrerà nelle sue fasi più acute proprio con l’autunno in arrivo. Detto questo, come fare, soprattutto se l’aumento dell’organico non dovesse arrivare in modo congruo? Se, per esempio, la scuola dell’infanzia - quella su cui si stanno ponendo le maggiori preoccupazioni, proprio per l’importanza di questa fase della vita in cui il bambino deve essere seguito in ogni momento - avrà pomeriggi non coperti da personale scolastico, chi baderà loro? È qui che le reti territoriali possono davvero fare la differenza: il Terzo settore, i Comuni, le Aziende consortili. Le cooperative sociali (compresa Aeris, ovviamente, promotrice del blog Sguardi Resilienti), anch’esse colpite in modo durissimo dal lockdown, hanno già detto “noi ci siamo” in ogni tavolo di lavoro e la scuola sa bene l’importanza dell’educatore a fianco di insegnanti curricolari e di sostegno: “l’assistente educativo è di fatto parte integrante del corpo scolastico”, è pensiero comune tra i dirigenti, che nella nuova disposizione delle aule stanno già studiando isole personalizzate per lo studente con difficoltà o disabilità e il suo educatore. Oltre a questo, c’è un’ulteriore prospettiva: l’impiego, circostanziato, di figure educative per completare il tempo-scuola che rimarrà eventualmente scoperto, per esempio nel pomeriggio: una sorta di post-scuola (servizio già attivo da almeno un decennio, con i genitori che arrivano a prendere i loro figli a scuola in orari compatibili con il loro lavoro) non più solo ludico, semi-strutturato a seconda del bisogno. Questo è un esempio, ce ne possono essere altri, il punto centrale rimane sempre lo stesso: che gli enti locali - pubblici, privati, non profit - collaborino a mente aperta, nell’interesse collettivo, con la giusta autonomia territoriale che deve essere lasciata loro dallo Stato centrale.
Quinto livello. Non si può concludere questi ragionamenti senza un’ode alle famiglie. In questi mesi per certi versi tremendi, quello che ha retto è stato l’impegno genitoriale. Prima verso la didattica a distanza dei figli e ora, soprattutto, verso le figure scolastiche: i genitori sanno che presidi e docenti (in migliaia di casi sono loro stessi sia genitori che insegnanti) stanno lavorando tra mille difficoltà e incertezze per far ripartire le scuole dei propri figli, e quindi non esercitano troppa pressione. Ovviamente da settembre le cose cambieranno e la pazienza collettiva verrà messa a dura prova, ma quello che può davvero aver cambiato questa pandemia è la consapevolezza di dover rinsaldare quel famoso patto educativo scuola-famiglia, che negli ultimi anni è purtroppo venuto meno. Del resto, durante il lockdown alunni e docenti sono “entrati” nelle rispettive case attraverso le lezioni a distanza e, in molti casi, ne è nata una complicità positiva, in particolare alla scuola primaria, ma non solo. Ecco, ripartiamo anche da qui: da un rinnovato rispetto reciproco che allontani diffidenze e giudizi inappellabili, per il bene di tutti ma in particolare degli studenti. Che dal 14 settembre in avanti vedranno le maestre dei nidi e dell’infanzia senza mascherina, ma con la visiera (per vedere espressioni facciali e movimenti labiali); dalla primaria in poi, oltre a usare mascherine e dispenser, spesso non troveranno più le loro aule di musica, arte, inglese, informatica e le palestre (temporaneamente, ma per quanto?), così utili per la socialità e la creatività; alle superiori, in particolare le scuole di formazione professionale come quelle legate alla ristorazione o i licei con indirizzo musicale, artistico, sportivo, i ragazzi dovranno studiare con spazi completamente stravolti. Sarà come entrare in un nuovo mondo, tutti assieme. Un mondo dove la responsabilità educativa avrà un’importanza enorme e ciascuno di noi dovrà fare la sua parte.
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